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La sconvolgente storia di una donna coratina che da anni è vittima di un uomo che “ha preso possesso della mia vita”

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Social e stalking.

Sono diverse le testimonianze che giungono in redazione da donne vittime di violenza, sia fisica che psicologica, che nella maggior parte dei casi si consuma tra le mura domestiche e che poi come in un rituale si tramuta in stalking a seguito delle azioni intraprese in propria difesa.

Solo a Corato tra 2015 e il 2018 si contano quasi trenta casi come ci ha riportato Patrizia Lomuscio, presidente dell’associazione Riscoprirsi, centro anti violenza, con sede ad Andria e dislocata in vari comuni tra cui la nostra città, durante un nostro incontro.

Un dato allarmante se rapportato alla popolazione femminile di Corato considerando inoltre chi non trova il coraggio di denunciare.

Ciò che particolarmente emerge dai racconti delle vittime è la sfiducia nei tempi che intercorrono tra la denuncia presso le forze dell’ordine e le indagini che, a loro dire, a volte sembrano mai iniziare, motivo per cui in alcuni casi sono costrette a presentarla direttamente in procura, con la speranza che almeno di lì si smuova qualcosa.

Dalla testimonianza che di seguito vi riportiamo, l’attenzione che la stessa protagonista vuole fortemente porre è sulla violazione dei dati in rete, hacker che entrano nei profili facebook, per esempio, creando una vita parallela di cui prima che l’interessata ne venga a conoscenza i danni procurati diventano irreparabili.

Il messaggio è rivolto in modo particolare agli adolescenti, ma non solo, – “dati sensibili e foto devono essere il più possibile al sicuro, un semplice click può cambiare per sempre la propria vita”- ci dice.

La vita quotidiana è caratterizzata da una serie di relazioni interpersonali delle quali l‘essere umano, essere sociale, non può fare a meno, anche perché determinano sentimenti più o meno importanti. Con l ‘avvento della tecnologia, vi è stata una svolta determinante, soprattutto grazie all’uso e all’ abuso dei social network che mettono o vorrebbero mettere in relazione gli iscritti.

La nostra storia parte da un momento di fragilità emotiva, nel quale Roberta, nome di fantasia per motivi comprensibili, stava vivendo in seguito alla separazione e che l ‘aveva portata ad iscriversi ad un gruppo Facebook che includeva iscritti accomunati dagli stessi interessi.

“Il noto social permise di creare un contatto, un’amicizia che pian piano si stava evolvendo in una vera e propria relazione sentimentale. Nel corso di alcuni mesi la complicità, l ‘affetto si andavano potenziando a distanza, tramite messaggi e telefonate, fino a portare al frequentarsi e alla convivenza di alcuni mesi”. Il vivere sotto lo stesso tetto consentì a Roberta di ottenere quelle attenzioni che fanno sentire amata una donna, ma anche di cominciare a rendersi conto che il compagno stava manifestando una possessività anomala. Gli episodi in cui si manifestava un’assurda gelosia diventavano sempre più frequenti e importanti, tanto da generare nella donna una paura che la raggelava, soprattutto perché temeva che tale sentimento potesse ripercuotersi contro i figli e la sua famiglia. “Il mio compagno aveva progressivamente preso il controllo dell’intera vita, tra cui dati e password dei social, dello smartphone, e di ogni altro dettaglio della mia vita personale. Nulla era più mio, soprattutto dopo che la convivenza aveva dovuto vedere il suo termine e lui era tornato nella sua lontana città. La lontananza, però era solo fisica, perché lo stalking e le minacce costituivano un pericolo costante e seriamente presente, nonostante i tentativi di cambi di recapiti telefonici, di indirizzo, di password sui social”.

Roberta era costantemente geolicalizzata, monitorata, seguita, perseguitata presso tutti i luoghi e presso tutte le persone che quotidianamente incontrava. Parenti e amici erano contattati affinché dessero all’uomo informazioni sulla ex compagna, la quale non riusciva a trovare una soluzione adeguata all’inferno che stava vivendo. Profili falsi diffamatori e il timore di ripercussioni sulla sua famiglia la spinsero finalmente a fare un ammonimento tramite le Forze di Polizia, senza alcun esito, e in seguito varie querele con forte valenza penale.”

Affinché tali azioni potessero avere maggior efficacia, su indicazioni dei miei legali, tutto il fascicolo contenente le prove e le testimonianze delle azioni dell’ormai stalker – hacker le consegnai direttamente nella sede del Tribunale.

Sono passati due anni, ma quelle denunce non hanno ancora avuto esito”.

Negli occhi di Roberta si leggono lo sconforto e la delusione, lo smarrimento e l’interrogativo: Cosa e dove ho sbagliato? Forse nell’aver dato creduto ad uomo dalla personalità disturbata o a delle istituzioni che non mi tutelano?

Riflettere è d’obbligo

 

 

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