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Per essere nella storia senza subirla

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Strategie a sostegno delle imprese per l’economia della nostra terra

Di Franco Bastiani

 

L’Italia non anticipa mai nulla: sembra che continuamente si rassegni a subire la storia, senza pensare a prevederla.

Qui si comprende bene che le previsioni riguarderebbero tutto ciò che è possibile mettere nel conto delle eventualità.

Tali considerazioni sono emerse a seguito del drammatico caso del ponte “Morandi”, a Genova, crollato rovinosamente per accertata usura delle strutture a cui non erano stati riservati i periodici interventi di manutenzione.

Incidente gravissimo per le conseguenze luttuose, per i danni alla città e all’economia a cui il ponte fungeva da supporto logistico di essenziale importanza in materia di trasporti, di circolazione di vettori, di veicolazione di auto e di persone.

E l’Italia, che non anticipa e stenta a prevenire anche gli accadimenti più prevedibili nell’umana fenomenologia,  ha dovuto chinarsi a piangere i morti – tanti – e a mostrare all’opinione pubblica mondiale  una delle diverse cose che non vanno.

Non è il resoconto impietoso – questo –  di chi ce l’ha con il Paese, ma la chiara presa di coscienza di un patriota che, al contrario,  soffre per le disavventure negative in costante moltiplicazione nella terra in cui è nato.

Fra le disattenzioni che continuano a pesare e che certamente porteranno ad un collasso economico (anche qui non si vuol prevedere), va annoverato il sistema fiscale subìto dall’imprenditoria minore, i baluardi della resistenza alle tasse, i piccoli/grandi giganti rimasti come antichi samurai a lottare eroicamente per dare fiato ad attività ancora sane (per fortuna), non inquinate dalle speculazioni finanziarie e/o dalle innumerevoli manovre di borsa.

Attività concepite e attuate nella dimensione del lavoro per il lavoro, non imbastardite dalla corsa affannosa al lucro, in grado, inoltre, di segnalare le capacità di maestri noti e apprezzati sui mercati internazionali per  singolare creatività e per eccellente manualità.

Ma il fisco non si placa e le imprese di media, piccola e micro dimensione ne fanno le spese sottraendo ai loro  bilanci somme notevoli da destinare a tasse ed imposte: le imprese italiane risultano le più tassate in Europa, tramite un meccanismo che colpisce duro, sino  all’87% dei profitti.

Si vuole guardare al futuro in termini di crescita ma la crescita non sarà possibile (come prevederla d’altronde ?) se le imprese, falcidiate dal fisco, e sempre che non chiudano battenti, non potranno realizzare quegli investimenti necessari a riavviare la produzione in un organico processo di sviluppo con un’adeguata innovazione tecnologica.

Alle spalle dell’Italia, per quanto riguarda il prelievo fiscale, c’è la Francia, quindi la Germania, la Spagna e l’Inghilterra, tutte con una pressione tollerabile; i Paesi confinanti, ad eccezione dell’Austria, sono un esempio più che virtuoso per chi gestisce un’azienda, con una imposizione lieve, molto al di sotto di quella nostrana.                                                      Irap, Iva, accise, Imu, Irpef, contribuzione per il personale dipendente: un port-folio  ben zeppo di date e di versamenti, vero salasso per imprenditori  ormai giunti … alla frutta.

Come contropartita, l’assenza di programmi da parte del potere pubblico che possano risultare coinvolgenti e di lungo respiro, promettenti per le nuove generazioni e, quindi, fecondi di frutti per i giovani, per quelli che hanno coraggiosamente deciso di restare.

Nel quadro rilevato a tinte fosche pure dalle agenzie di rating che si affannano a stabilire  percentuali di crescita/decrescita più o meno improbabili, spicca il fenomeno dell’economia sommersa, dell’abusivismo, delle attività in nero che si uniscono sciaguratamente ai flagellatori delle imprese regolari.

È noto che si tratta di  circa 250 miliardi di euro che pesano quanto un 17% del Pil e che sfugge al controllo degli organi tutori del fisco.

Ce ne è in tutti i settori, specie nel campo dei servizi alla persona ove, espletando la prestazione abusiva, non si lasciano tracce, se non si è proprio disavveduti: l’economia in questione è a nero perché ci sta ma deve risultare occulta.

E intanto, a cancellarsi dagli albi professionali presso le Camere di Commercio sono assai.

A Corato, per fissare l’obiettivo su un importante Comune del nord barese, l’anno scorso chiusero 13 imprese artigiane in aggiunta alle 11 chiuse nel 2016: oltre mille le imprese del settore fino a 10 anni fa, ora poco più di 900 e il trend è in caduta libera.

E i rimedi ? Possono trovarsi, come pensano alcuni giovani imprenditori  intenzionati a spendere parte delle loro energie per le problematiche che attualmente riguardano le aziende e non solo quelle di Corato.

Occorre recuperare le ragioni di una solidarietà che non sia solo umana ma che investa anche i campi della progettualità, delle iniziative da portare avanti insieme.

Il mercato globale sta imponendo forme di lavoro imprescindibili dalla cooperazione. Vanno ricercate, ovvero inventate, strategie per operare collegialmente, ciascuno conservando la propria specificità.

Sono concetti difficili da comprendere e ancor meno da praticare in aree geografiche vocate all’individualismo,  ma la battaglia va combattuta  sino in fondo e i risultati arriveranno.

In fase di costituzione a Corato e nei centri vicini un organismo rappresentativo di sigle sindacali di lavoratori e di datori per affrontare con le amministrazioni civiche le criticità del momento

 

 

 

 

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