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Sabbie mobili dell’Occidente

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Ascolto le notizie che giungono da Vienna. Osservo il Regno Unito che si disfa. Vedo sullo schermo le botteghe americane che si blindano per paura di essere sommesse. Leggo le cifre che segnalano l’estendersi del virus. Guardo le facce non rassicuranti di Trump e dei suoi imitatori. Come non cogliere il disfacimento cui si sta avviando l’occidente!

Già nel ‘900, come l’ equipaggio della Zattera della Medusa di Géricault, ci eravamo avvicinati a questo epilogo. Ce la eravamo cavata, come si dice, per il “rotto della cuffia”.

Capisco il senso delle parole di Mario Draghi: usare la crisi drammatica non per aggrapparsi ai brandelli di un vecchio mondo, ma per governare l’alba del nuovo.
Usare il debito, oltre l’emergenza, per creare lavoro, ricchezza, equità, modernità giusta, per fare formazione permanente, la principale esperienza umana per trovare nuove forme di garanzia della sicurezza sociale, per spostare nelle nuove generazioni non il peso del debito, ma la possibilità di accesso al lavoro e alla stabilità dell’esistenza.

L’unica cosa che dovremmo portarci dal passato, è proprio la differenza tra sinistra e destra nella soluzione dei problemi del tempo. Due grandi poli che si confrontano alle elezioni, uno vince, governa e attua il programma presentato agli elettori e l’altro fa opposizione e si prepara alla nuova sfida.

È questo, ne sono convinta, l’unico modo per fare riforme corragiose.

Maggioranza e opposizione possono e devono scrivere le regole del gioco, senza usare la Costituzione come un volantino elettorale o come strumento per tenere insieme maggioranze eterogenee.

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